Consiglio di Stato accoglie ricorso
Critiche molto severe del Consiglio di Stato al Governo in materia di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione contenuta nel previsto Codice dell’Amministrazione digitale.
La digitalizzazione non si fa a costo zero, e non si capisce bene il rapporto con la normativa in essere ( italiana e comunitaria), è questo il succo del Parere inviato al Governo il 23 marzo scorso, che analizza nel dettaglio, in un documento di 55 pagine, i 65 articoli del CAD.
La sezione speciale consultiva del Consiglio di Stato, presieduta da Franco Frattini, Relatore Claudio Boccia, ha emesso il previsto Parere sul Codice dell’Amministrazione Digitale ed in particolare sullo Schema di decreto legislativo recante “modifiche e integrazioni al Codice dell’Amministrazione Digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai sensi dell’articolo 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle Amministrazione pubbliche”., presentato dal Governo il 20 gennaio scorso,
Il Parere esercita severe critiche al Governo sia nella tempistica non certa delle disposizioni ivi contenute che addirittura nello stesso linguaggio normativo utilizzato.
Il Consiglio di Stato poi rileva come il CAD sia carente dei riferimenti alle stesse norme sostanziali:
“la Commissione speciale non può non sottolineare che il decreto legislativo dovrebbe assolvere in maniera più puntuale alla sua funzione di Codice dell’Amministrazione digitale, quale raccolta di norme disciplinanti tale branca del diritto, atteso che il medesimo è privo degli opportuni riferimenti alle discipline sostanziali dei vari procedimenti collegati alle disposizioni in esso contenute, quali ad esempio quelle relative al processo telematico, al diritto di accesso e alla trasparenza dell’azione amministrativa.”
Il Consiglio di Stato è severissimo nel bacchettare il Governo sul merito del provvedimento “ Quanto al merito del provvedimento, la Commissione speciale osserva, in via preliminare, che la relazione predisposta dall’Amministrazione si è limitata a illustrare il contenuto delle singole disposizioni facenti parte della riforma in esame, senza approfondire sufficientemente le problematiche connesse con il contenuto di tali previsioni, il rapporto di queste ultime con la normativa di carattere nazionale e comunitaria e, infine, i possibili risvolti pratico-applicativi connessi con la concreta messa in opera della riforma di cui si converte.”
Come dire, “mi avete raccontato la storia, ma le norme”?
Tra i punti più critici secondo Il Consiglio di Stato c’è lo SPID, sia per quanto riguarda la scelta di coloro che svolgono all’interno dello SPID il ruolo di identity provider, che per quello che riguarda l’utilizzo di questo strumento.
Sotto il primo punto di vista, Palazzo Spada fa proprie tutte le perplessità e le critiche espresse dalle Associazioni di categoria e dalle sentenze del TAR prima, e del Consiglio di Stato poi ( che però non erano conosciute dalla sezione consultiva quando è stata emanato il Parere).
Cosi si esprime il Consiglio di Stato “6.1. La seconda questione che necessita un chiarimento concerne l’articolo 25, con il quale si procede a modificare l’art. 27 (“Prestatori di servizi fiduciari qualificati, gestori di posta elettronica certificata, gestori dell’identità digitale di cui all’articolo 64 e conservatori”) del CAD.
La Commissione speciale osserva che tale disposizione prevede che i succitati soggetti debbano possedere i requisiti di cui al novellato articolo 29, comma 3 del CAD.
La lettera a) del comma 3 prevede che i soggetti che intendono avviare la prestazione di servizi fiduciari qualificati o svolgere l’attività di gestore di posta elettronica certificata, di gestore dell’identità digitale e di conservatore di documenti informatici devono “avere forma giuridica di società di capitali” nonché un “capitale sociale non inferiore a quello necessario ai fini dell’autorizzazione alla attività bancaria in qualità di banca di credito cooperativo, ai sensi dell’articolo 14 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”, fissato dalla Banca d’Italia, con la circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, in 5 milioni di euro.
In proposito la Commissione speciale osserva che il succitato requisito ha suscitato contrarietà nelle associazioni di categoria degli operatori di comunicazione elettronica di servizi accessibili al pubblico che hanno ritenuto che l’elevato capitale sociale produrrebbe l’effetto di escludere dalla possibilità di accreditamento alcune imprese che già operano nel settore.
A quanto precede deve, inoltre, aggiungersi che il Tar per il Lazio ha ritenuto il succitato requisito “sproporzionato” rispetto alle finalità che attraverso il medesimo s’intendono perseguire (Tar Lazio, Sez. I, 21 luglio 2015, n. 9951).
La Commissione speciale, pertanto, in considerazione del fatto che la relazione istruttoria non fornisce adeguate motivazioni sulla scelta effettuata, invita l’Amministrazione a chiarire le ragioni che l’hanno indotta ad assumere la succitata decisione, tenendo conto che l’obiettivo da raggiungere potrebbe consistere nell’individuazione di un punto di equilibro fra l’esigenza di selezionare aziende che, anche tramite una adeguata capitalizzazione societaria, assicurino un servizio conforme agli standard individuati dall’Amministrazione stessa e quella di non escludere dal mercato società che, pur in possesso di accertati requisiti di affidabilità, non dispongano del capitale societario richiesto dall’articolo de quo.”
E il Consiglio di Stato in funzione consultiva non era nemmeno a conoscenza della sentenza che la sezione Giurisdizionale avrebbe emesso il giorno successivo alla spedizione del CAD al Governo ( 24 marzo).
E’ in generale lo SPID a destare perplessità in Palazzo Spada, ed in particolare l’art 64 del Codice che introduce il sistema pubblico di identità digitale: “la Commissione speciale deve rilevare che la previsione in esame, nella parte in cui disciplina con adeguato grado di dettaglio lo SPID, non sembra tuttavia coordinarsi in maniera sufficientemente organica con gli altri strumenti attraverso i quali i soggetti privati possono interloquire con la pubblica amministrazione.
La succitata disciplina, infatti, non sembra raccordarsi con quella relativa alla PEC, circostanza questa di particolare rilevanza atteso che quest’ultima risulta un mezzo ordinario di relazione fra i cittadini e la pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 48 del CAD il quale dispone che “la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata…”.
La medesima, inoltre, sembra in parte sovrapporsi con quella relativa alla carta di identità elettronica ed alla carta nazionale dei servizi, recata dal novellato art. 66 del CAD, creando una possibile duplicazione dei mezzi di accesso ai servizi resi in rete dalla pubblica amministrazione, così come confermato dallo stesso articolo in esame il quale aggiunge all’art. 64 del CAD un nuovo comma 2-nonies, ai sensi del quale si può accedere ai succitati servizi “anche con la carta di identità elettronica e la carta nazionale dei servizi”.”
Consiglio di Stato accoglie ricorso
Dubbi severi anche sul documento informatico sottoscritto con firma elettronica di cui all’art 21 della proposta di CAD:
“In proposito la Commissione speciale osserva che nel vigente ordinamento la firma elettronica può assumere modalità profondamente diverse fra loro, articolandosi fra una semplice password – la quale, per sua natura, potrebbe non fornire la certezza che il documento provenga da colui il cui nominativo è usato per la sottoscrizione – e l’utilizzo di avanzati sistemi biometrici, con conseguente variabilità del sistema di sicurezza.
La Commissione speciale, pertanto, prendendo atto della circostanza che la relazione ministeriale non motiva adeguatamente le ragioni della scelta effettuata, invita l’Amministrazione a chiarire le motivazioni della decisione assunta, tenendo conto che il regolamento eIDAS non reca disposizioni su tale tematica e che l’esigenza di semplificazione sottesa alla disposizione in esame potrebbe avere riflessi non positivi sullo svolgimento dell’attività processuale.”
Consiglio di Stato accoglie ricorso
In pratica il Consiglio di Stato chiede al Governo da dove abbia preso questi concetti che non sono presenti nell’Eidas, ovvero nella norma Comunitaria a cui si ispira il Codice dell’Amministrazione digitale.
Ulteriori osservazioni sono presenti nel corposo documento redatto da Palazzo Spada.
Bisognerà vedere cosa farà ora il Governo a cui il Consiglio di Stato ha rinviato il Decreto.
Consiglio di Stato accoglie ricorso