Non sempre la diffamazione di un personaggio politico può essere in se’ reato.
La vita di un personaggio pubblico, protagonista della vita politica può essere oggetto di critiche severe, le quali possono anche non essere fondate sulla verità dei fatti.
Cio’ in quanto il diritto di critica, nel caso di un cittadino che rivesta un ruolo politico, può fondarsi anche su semplici congetture, di per se’ non verificabili.
E quanto ha stabilito la quinta sezione penale della Cassazione in una sentenza di fine luglio, che ha riformato la sentenza di condanna della Corte di appello di Milano, a carico di un cittadino dell’hinterland Milanese.
La Suprema Corte, su ricorso dell’Avvocato Cassazionista, nel richiamare i precedenti conformi nei quali l’attribuzione di epiteti xenofobi e razzisti ad una Associazione, pur non fondati, potessero comunque rientrare, nel contesto politico, in un legittimo esercizio del diritto di critica, ha annullato la condanna per diffamazione aggravata comminata dalla Corte d’Appello del capoluogo lombardo.
Si tratta di un annullamento importante, che stabilisce principi in tema di bilanciamento di diritti nel solco della tradizione della CEDU sulla libertà di stampa.
La critica, se contenuta in forma civile, anche se connotata da risvolti politici, può essere dura anche al di là dei tradizionali canoni della verità dei fatti narrati.
Ciò serve a connotare la funzione imprescindibile della libertà di stampa.
la Corte ha ritenuto che” Al riguardo, giova rammentare che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il rispetto della verità del fatto assume in riferimento all’esercizio del diritto di critica politica un limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica”.
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