Il diritto di critica sul web e nelle testate tradizionali nei confronti dei politici è molto più ampio di quanto avviene nei confronti dei privati cittadini, a meno che si attribuiscano allo stesso politico fatti non veri allegati a sostegno delle proprie opinioni e delle conseguenti censure, nel qual caso si risponde di diffamazione.
E’ quanto affermato dalla Cassazione in una sentenza del 26 luglio 2018 nei confronti del titolare di un sito amatoriale di una cittadina campana.
I Giudici di Palazzo Cavour ricordano come “e’ pur vero che in tema di diffamazione a mezzo stampa, il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica politica, un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica; tuttavia presupposto imprescindibile per l’applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica è la verità sostanziale del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica ; infatti ai fini dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 51 cod. pen., la critica politica – che nell’ambito della polemica fra contrapposti schieramenti può anche tradursi in valutazioni e commenti tipicamente «di parte», cioè non obiettivi – deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, che sia fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio del diritto di critica, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità.
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