Le foto “hot” inviate con un servizio di messaggistica istantanea ( nella fattispecie su Facebook), non integrano il reato di molestie.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, in una ordinanza della metà di dicembre del 2017 che ha confermato l’archiviazione, ad opera del GIP di una cittadina del sud-italia, del procedimento a carico di un uomo imputato per il reato di cui all’art. 660 cod.pen.
La fattispecie in esame punisce il reato di molestie.
Nel caso specifico il GIP aveva rilevato come la trasmissione di immagini sconce ai danni della persona offesa ( una donna, nel caso di specie) , fosse in ogni caso attribuibile all’indagato, ma che la condotta posta in essere non potesse rientrare nella fattispecie penale prima indicata, la quale richiedeva la comunicazione telefonica, non bastando cioè l’invio per posta elettronica.
In realtà la ricorrente, attraverso il proprio avvocato aveva sostenuto che la conversazione con l’account della ricorrente fosse avvenuta tramite il servizio messenger di Facebook, costituito da una messaggeria istantanea, e, come tale reputato sostitutivo del telefono e differente dal messaggio di posta elettronica per il suo carattere invasivo.
Per questo motivo l’uso della messaggistica istantanea avrebbe svolto la stessa funzione del mezzo telefonico, rientrando a pieno titolo nelle condotte penalizzate dall’art 660 del codice penale.
La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso.
In precedenza però la Cassazione aveva invece ritenuto integrato il reato di molestie in caso di “post” condivisi sulla pagina pubblica di Facebook della persona offesa, trattandosi di luogo virtuale aperto all’accesso di chiunque utilizzi la rete e quindi di “luogo aperto al pubblico”.
La Suprema Corte aveva precisato che l’espressione “luogo pubblico“, deve intendersi quello di diritto o di fatto continuativamente libero a tutti o a un numero indeterminato di persone
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