Frode fiscale in Cassazione rigetta il ricorso dell’Agenzia delle entrate
Il Supremo Collegio non accoglie il ricorso dell’agenzia delle entrate e conferma la sentenza di e4straneità all’illecito tributario.
La Cassazione ha stabilito che la tematica della detraibilità dell’I.V.A. in relazione ad operazioni iscritte in un meccanismo negoziale attuato allo scopo di frodare il fisco ed i connessi profili di ripartizione dell’onere della prova tra fisco e contribuente. Vertendosi pacificamente nel caso in esame in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, deve ritenersi che le operazioni siano state effettivamente rese al destinatario, che le ha effettivamente ricevute, ma da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione rappresentata nella fattura; in tali casi l’I.V.A., in linea di principio, non è detraibile perché versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, non potendo entrare nel conteggio del dare ed avere ai fini I.V.A. fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, perché riguardanti operazioni inesistenti, senza che rilevi che le stesse fatture costituiscano la «copertura» di prestazioni acquisite da altri soggetti. 2.1. Ai fini della ripartizione dell’onere della prova, incombe sull’Amministrazione finanziaria dimostrare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione. Come chiarito da questa Corte la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione I.V.A. e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole. Con riguardo a tale ultima circostanza, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’I.V.A.). In sostanza, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a provare, anche solo sulla base di presunzioni, come prevede per l’I.V.A. l’art. 54, secondo comma, del d.P.R. n. 633 del 1973, e mediante elementi indiziari che il contribuente al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei a «porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente» 2.2. La Corte di Giustizia, con riguardo alla prova sull’elemento soggettivo del cessionario, ha escluso la compatibilità con il diritto unionale di una previsione di legge nazionale che consideri inesistente, in base a criteri predeterminati, il soggetto emittente la fattura e, di conseguenza, neghi al destinatario il diritto a detrazione, sottolineando che «il criterio dell’esistenza del fornitore dei beni o del suo diritto ad emettere fatture….non figura tra le condizioni del diritto alla detrazione», rilevando esclusivamente che egli abbia «la qualità di soggetto passivo»); ne consegue che spetta all’Amministrazione dimostrare, e al giudice verificare, «alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’I.V.A.» . Ciò comporta che non è possibile fissare in via astratta e preventiva circostanze che ostino al riconoscimento del diritto alla detrazione (Corte di Giustizia che ha precisato che «le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, ad un esame complessivo dell’operazione interessata»).
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