La Corte di Cassazione, in una sentenza depositata negli ultimi giorni di gennaio, stabilisce che per aversi diffamazione in rete ed in tv, l’offesa debba essere rivolta a persone determinate e non semplicemente ad un partito politico.
Ciò in quanto l’appartenente ad un partito politico non ha il potere di presentare in via generica una querela per diffamazione per offese al proprio partito politico.
La questione traeva origine dalla querela presentata dall’ex capogruppo parmigiano del Movimento 5 stelle, poi transitato nel partito Effetto Parma di Federico Pizzarotti, nei confronti di un avversario politico che avrebbe leso l’onore e la reputazione di un partito politico nel corso della trasmissione televisiva “AGORA'”.
L’uomo politico aveva presentato ricorso in Cassazione avverso il decreto di archiviazione per il reato di diffamazione del Giudice delle Indagini preliminari di Parma, ma la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il gravame ribadendo che ” è incontroverso che la legittimazione competa anche ai singoli componenti solo se le offese si riverberino direttamente su di essi, offendendo la loro personale dignità.
Infatti, il reato di diffamazione è costituito dall’offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili.
L’interpretazione giurisprudenziale sul punto è rigorosa, richiedendo che l’individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione, in mancanza di indicazione specifica e nominativa ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto, deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell’offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita”.
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